Il Monastero femminile di San Giovanni Evangelista in Lecce ha segnato in modo indelebile le vicende di Terra d’Otranto e gli storici lo sanno molto bene. Nella sua esistenza secolare, iniziata l’anno 1133, anche il conte normanno Accardo, fondatore del cenobio, non immaginò che questa creatura potesse diventare, per quasi nove secoli sino ad oggi, un punto di riferimento imprescindibile per la città di Lecce e l’intero Salento.
E’ impossibile giungere a Lecce come turisti o viaggiatori qualunque e non avere il tempo di assaporare la maestosità del Monastero che si pone tra Medio Evo e Barocco, che abbraccia circa la metà della storia del mondo, a partire dalla nascita di Cristo, e che ha avuto il privilegio, e forse anche la fortuna, di non aver subìto l’onta di alcuna soppressione. Con il passare del tempo è andata emergendo, in tutta la sua evidenza, la struttura interna della dimora benedettina che, non senza notevoli sacrifici da parte delle monache, è riuscita ad adeguarsi al mutamento dei tempi e all’accoglimento delle richieste sempre più particolareggiate, e non solo spirituali, provenienti dal mondo esterno alla clausura.
Infatti, L’ora et labora et lege scandisce ancora oggi il fluire dei giorni, fatte salve le diverse modalità che l’evolversi dei tempi esige. L’ora custodisce il tesoro della liturgia e del canto gregoriano, facendo anche spazio al salmodiare in lingua italiana. Essa è pregna del silenzio che adora, intercede, loda. La lectio alimenta la giornata monastica e viene condivisa, il sabato, con altre sorelle e fratelli desiderosi di conoscere Cristo, scrutando la Scrittura. Il labora, da ultimo, fa ricorso anche a nuove tecnologie pur custodendo, ad esempio, antiche modalità di lavorazione della pasta di mandorla, prodotto tipico dell’area mediterranea, attraverso processi lavorativi ricchi di significati simbolici.
Anche l’ospitalità, dimensione costitutiva della vita di un monastero, assume qui, in San Giovanni Evangelista, sempre più la modalità della promozione di occasioni e iniziative per alimentare un dialogo nella consapevolezza che ogni essere umano è “parola” da ascoltare,interpretare, custodire. L’ospite è luogo epifanico dell’altro e non c’è diversità che possa giustificare fughe, rinvii, elusioni, approcci superficiali, deleghe.
Parimenti la vita in comune, quella cenobitica per intenderci, tipica del Monastero benedettino, diviene officina e laboratorio di comunione, che educa a sillabare l’esigente parlare evangelico, il quale ha gli accenti della misericordia, dell’umile compatire, dell’amicizia e dell’amore che vanno sempre oltre ogni speranza. La vita delle monache benedettine mira, in delicata semplicità e grazia, a glorificare il nome del Signore in ogni tempo, ponendosi, oggi, nelle condizioni di confrontarsi con il mondo fuori le grate e con tutti gli strati sociali in esso rappresentati, attraverso un’azione puntuale, meditata e organica, che certamente si distenderà anche nei tempi futuri.
E che dire della crescita del Monastero sotto il profilo culturale, dopo aver accennato alla sfera religiosa che abbiamo appena cercato di cogliere ed esplicitare con concisa efficacia? Attraverso la valorizzazione dei beni archivistici e all’occorrenza anche bibliografici, oltreché di quelli storico-artistici, molteplici sono le iniziative che, da qualche tempo, hanno fatto della struttura dedicata al grande Santo umbro, un punto di snodo dei rapporti in materia di iniziative promozionali a tutto vantaggio della funzionalità della gestione del patrimonio culturale custodito dalle monache.
Ben meritano apprezzamenti i numerosi contributi storici, grazie ai quali ed anche a una ormai consolidata abitudine alla ricerca documentaria, a partire dai primissimi anni del secolo scorso, talvolta sotto forma di flash, si è illustrato e completato un quadro sempre più esauriente delle vicende della chiesa del monastero, della vita consacrata nelle sue sfaccettature, delle abitudini e delle tradizioni delle monache in senso lato.
Che rapporto si instaura dunque tra il Monastero Femminile di San Giovanni Evangelista e questo lembo di terra molto spesso appellato da taluni il Tacco d’Italia? Un rapporto stretto, che non si può forse definire paritario, ma che è innegabilmente basato su scambi reciproci che portano chiaramente alla luce un rapporto dualistico: da una parte il forte sentire delle benedettine che “dilatano” la loro spiritualità nel tessuto della società salentina, dall’altra l’enorme e crescente fabbisogno dell’essere umano alla ricerca costante di certezze, che approdino a nuovi spazi e a nuove esperienze spirituali, che solo l’amore di Dio può dare (A. De Meo).